mercoledì 29 febbraio 2012

Terzo stralcio di "Principe e povero"

Quando, sul calar della sera di fine aprile 1177, si udirono in lontananza gli ormai noti rumori metallici di soldati in movimento, il cuore sobbalzò nel petto di molte persone di Orgnano: chi per paura di essere derubato delle vivande per superare l’inverno, chi per tema di dover sborsare oro e granaglie per continuare a comandare. La polvere sollevata dai cavalli ed il ritmato scalpitare degli zoccoli sul selciato lasciavano immaginare un folto gruppo in marcia. Ma la paura lasciò spazio alla sorpresa quando i cavalieri, riempiendo la strada e la piazza, chiesero dove si trovasse il palazzo dei Porto. Davanti alla casupola di Avelardo scesero in due soltanto. Avevano i distintivi di Capitano. Si diressero alla porta di casa. Mentre stavano per bussare alla porta, questa si aprì e Avelardo, con fare modesto e timoroso, chiese cosa potesse fare per accontentarli. I due soldati si guardarono negli occhi, si fecero un cenno d’intesa quindi, il più anziano, disse con tono autoritario:” Abbiamo fame”. L’altro militare soggiunse:” e i nostri uomini hanno molta sete”. Il povero Avelardo, come per scusarsi, guardando tutti quei cavalieri esclamò:” mi dispiace signori, non ho vino a sufficienza per dissetarvi tutti. Devo andare da mio fratello e farmene prestare un po”. Nel frattempo si erano radunati molti contadini di ritorno dai campi ed i bambini, incuriositi, erano trattenuti a stento dalle madri. Avendo sentito le richieste tutti i paesani temevano per l’amico Porto. Allorché il capitano più anziano abbracciò e sollevò fra le sue braccia l’anziano Avelardo, le donne cominciarono a pregare per il pover’uomo. Ma quando videro che quel cavaliere cominciò a far roteare il piccolo uomo ridendo sempre più forte, accompagnato dall’altro tutti si stupirono e non riuscivano a capire quel comportamento. Quando, finalmente, l’anziano venne deposto a terra ed il militare si tolse il cimiero, vi fu un attimo di terrore in tutti i villani. Avelardo, il piccolo, anziano contadino, cominciò a tempestare di pugni il petto del cavaliere imprecando e urlando. Anche gli altri cavalieri smontarono di sella e, nelle menti di quelle persone semplici, passò come un lampo la visione di altre morti atroci per un nonnulla. Ma i cavalieri restavano immoti accanto ai loro animali mentre gli altri tre cominciavano a ridere. Anche l’altro capitano si tolse il cimiero, ed entrambi li deposero sull’arcione, si arruffarono i capelli e si sedettero sulla panca di legno, accanto al muro di casa, con in mezzo l’ometto.
Vedendo i volti arrossati per la sorpresa ed il timore dei paesani il capitano  più giovane, per farsi udire da tutti, gridò:” Di cosa temete bifolchi? Siamo i nipoti di Giorlando e Salvatore Porto!” Poi, rivolto al nonno, cominciò a narrargli quanto avevano visto e dove erano arrivati i loro padri. Gli raccontò della campagna militare in Puglia e Campania contro i Bizantini. Che erano giunti fino a Capua, avevano partecipato alla conquista di Benevento e Troia. Nel 1030 Rainaldo Drengot, capo normanno, costruì il castello Aversa che divenne base di  riunione di  altri normanni e brettoni per future conquiste. I due Porto, divenuti capitani per meriti acquisiti sul campo, si aggregarono a loro giungendo anche in Sicilia.
 Interrompendosi a vicenda, i due fratelli parlarono delle battaglie, delle campagne militari e delle città che avevano visto. Degli onori ricevuti a Roma. Dei disagi e sofferenze patite, delle gioie e soddisfazioni avute sia dai loro genitori, nell’andare così lontani che a ritornare, per poco tempo, alla casa paterna. Gli raccontarono che erano giunti a Venezia via mare al seguito del papa Alessandro III e di Guglielmo II re di Sicilia per trovare un accordo con il Barbarossa, l’Imperatore  teutone Federigo I. Avevano ottenuto il permesso di lasciare Venezia, intanto che i Grandi discutevano le condizioni. Tra questi negoziatori, richiesto dal Barbarossa, c’era anche Guglielmo Porto. Era stato proprio lui ad informare i due fratelli che il villaggio degli avi era a meno di 100 miglia da Venezia. Curiosi di conoscere sia il paese di cui avevano sempre sentito parlare che i parenti custodi dell’origine del casato avevano chiesto il permesso di lasciare Venezia.

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